“Mi taglio e sto meglio, per un po’ non penso ai miei problemi e poi mi sento libera e fiera della mia vendetta.. lo so è una cavolata ma è quello che provo.. i tagli sono anche segnali di aiuto ma che nessuno sa cogliere.. mi sento sola..” (Anonimo)
Questa ragazza ha iniziato ad autolesionarsi a 15 anni: la pratica del cutting, come abbiamo potuto apprendere nel precedente articolo, è un’usanza molto diffusa tra i giovani.
Qualsiasi generazione ha avuto problemi nel rapportarsi col mondo esterno e col proprio corpo durante il periodo adolescenziale, arrivando anche a “sentirsi vivi” danneggiando il proprio essere.
La chiamano “l’età più difficile”, nella quale ognuno è alla disperata ricerca di una propria identità.
Eppure, pur lavorando nel sociale e strutturando specifici percorsi di prevenzione del disagio, intercettiamo solo una piccola parte di tanti fenomeni, a volte anche in ritardo.
Come gestire in modo positivo e costruttivo questi comportamenti?
Per esempio, confrontandosi attivamente con i ragazzi favorendo la condivisione e cercando di porsi al loro livello senza svalutare la funzione educativa.
La situazione è molto grave e per cercare di risolverla è necessario far percepire la propria presenza, bussare a quella porta che protegge dei silenzi da riempire, oltre a fare molta attenzione a comportamenti insolitamente e improvvisamente ”chiusi”.
I giovani sono molto abili a “eclissarsi” nei loro mondi virtuali, per questo bisogna essere pronti a catturare qualsiasi tipo di segnale, come:
– maniche/pantaloni lunghi d’estate
– strane cicatrici
– oggetti da taglio nel borsellino
– bracciali molto vistosi
– macchie di sangue in bagno e a letto
Il grido d’aiuto si cela nei dettagli, facciamo attenzione una volta in più.
Lo scrittore brasiliano Paulo Coelho ci ricorda che…
A volte è quello che non dici che conta